Monumento funebre di Beatrice e Maria Pereyra Camponeschi
Autore: Silvestro dell’Aquila
Titolo: Monumento funebre di Beatrice e Maria Pereyra Camponeschi
Data: 1488
Collocazione: abside
Stato di conservazione: buono
Tecnica e materia: pietra bianca e rossa, scultura
Iscrizione:
«BEATRICI CAMPONISCAE INFANTI DULCIS QUAE VIXIT MENSES XV MARIA PEREYRA NORO-/ NIAQUE MATER E CLARISSIMA HISPANORUM REGUM STIRPE TAM MATERNO QUAM PATERNO GENERE ORTA PETRI LAL-/LI CAMPONISCI MONTORII COMITIS CONIUX FILIAE SUAE UNICAE BENEMERENTI ET SIBI VIVENS POSUIT » :
A Beatrice Camponeschi, dolcissima infante che visse quindici mesi, la madre Maria Pereyra i Noroña, discendente dall’illustre stirpe dei re spagnoli, sia da parte di madre, sia da parte di padre, moglie di Pietro Lalle Camponeschi, conte di Montorio, eresse [questo monumento] per la sua unica benemerita figlia e per sé stessa ancora in vita
Descrizione
Il monumento funebre, oggi in buono stato di conservazione, fu commissionato nel 1488 a Silvestro dell’Aquila da Maria Pereyra i Noroña Camponeschi, esponente della nobiltà iberica, moglie di Pietro Lalle Camponeschi conte di Montorio, per celebrare la memoria di sé stessa e dell’ultima di cinque figli, Beatrice, morta a soli quindici mesi.
La tragedia avvenne durante un viaggio di ritorno da Napoli dove la famiglia si era trasferita a causa dell’arresto del conte, che quattro mesi prima, il 25 giugno del 1485, era stato rinchiuso nelle carceri di Castelnuovo accusato di aver alimentato il malcontento cittadino contro il governo napoletano.
Il complesso monumentale realizzato da Silvestro, posto a sinistra dell’altare maggiore, si presenta sotto forma di arcosolio ornato esternamente da festoni e due candelabri.
Sui pilastri, da sinistra, dall’alto santa Maria Maddalena, simbolo di umiltà, scolpita mentre solleva il coperchio dell’unguentario, sotto di lei san Giovanni Battista che si porta la mano destra verso il petto, con la quale un tempo, presumibilmente, stringeva la croce astile, a destra, parallelamente, in alto, santa Caterina d’Alessandria, la cui ruota, il suo attributo, diventa basamento, mentre con una mano regge il fitto e pesante panneggio, in basso san Francesco mostra il costato piagato al crocifisso che tiene nella mano sinistra.
I quattro santi, profondamente assorti, inseriti all’interno di nicchie raggiate, riescono comunque ad imporsi nel monumento attraverso dei basamenti aggettanti che li pongono in rilievo rispetto al piano di fondo.
L’arco è internamente decorato da fiori inseriti tra lacunari mentre le pareti sono valorizzate da specchiature in pietra rossa e rimarcate da fasce marcapiano.
La zoccolatura, adornata e impreziosita da modanature, presenta al centro una cassa decorata da motivi vegetali a girali e dall’emblema Camponeschi, d’argento al monte di cinque cime d’azzurro, spesso scambiato per un guanto, e sormontata da un coperchio squamato, sulle due estremità robuste e aggettanti che fungono da basamento per i pilastri, si ripete, a sinistra lo stemma araldico della famiglia Camponeschi, mentre a destra quello della dinastia Pereyra, stemma partito che ha il primo inquartato: nel primo e quarto alla croce bordonata caricata da dieci castelli a tre torri, nel secondo e terzo alla croce scanalata gigliata; il secondo partito a due leoni controrampanti poggiati su un monte di una cima svettante su un castello a tre torri caricato da fasce di nove scudetti, entrambi sono enfatizzati da nastrini in bassorilievo.
Il gisant della nobildonna, effigiata in un’austera bellezza senza tempo, è posto a copertura dell’arca, giace sopra un lenzuolo che ricade morbido ed ondulato, il capo è adagiato su due morbidi cuscini mentre le mani sono incrociate sul libro d’ore posato sul ventre, sotto il sepolcro è adagiata la piccola Beatrice, coperta da un sottile tessuto che risalta la sua tenera robustezza, distesa nella stessa posa della madre.
L’arca, dal profilo curvilineo, è sollevata da pelose zampe leonine e riccamente ornata da due diversi modelli decorativi, nella fascia superiore si ripetono festoni di pomi maturi sorretti da cherubini, in basso un complesso gioco di motivi vegetali, steli ricurvi, fiori, fogliame e passerotti.
Seduti ai piedi del sepolcro due putti stringono lo stemma araldico dei Camponeschi e sembrano aspettare il risveglio della piccola Beatrice vegliando su di essa.
Per la realizzazione del sepolcro Silvestro si ispirò a modelli fiorentini e romani di cui già si era servito per il monumento funebre del cardinale Agnfili, nel Duomo dell’Aquila, rielaborandoli in maniera autonoma ed originale.
Lo sfondo in pietra colorata e le zampe leonine sono citazioni del monumento funebre di Carlo Marsuppini che Desiderio da Settignano realizzò per la Basilica di Santa Croce a Firenze tra il 1453 e il 55; di circa un decennio più tardo è la tomba del cardinale di Portogallo di Antonio Rossellino per la chiesa di San Miniato al Monte, da cui Silvestro riprende e rielabora le figure dei due putti reggi stemma.
I pilastri contenenti le figure aggettanti dei santi appartengono invece all’influsso dei modelli romani, primo tra tutti Andrea Bregno con il Monumento funebre per il Cardinale Alano Coetivy per la chiesa di Santa Prassede realizzato ne 1474.
Da Urbino, precisamente dai lavori di Ambrogio Barocci per le decorazioni delle cornici di porte e camini del palazzo ducale, proviene la nuova acquisizione ornamentale di Silvestro fatta di un ductus più vivace, immediato e tagliente.
Bibliografia di riferimento
Laurine Mack Bongiorno, Notes on the art of Silvestro dell’Aquila, in “The art bullettin”, XXIV, College Art Association 1942, pagg. 232-243
Mario Chini, Silvestro aquilano e l’arte in Aquila nella seconda metà del sec. XV, Aquila : La Bodoniana,1954, p.282-288
Maurizio D’Antonio e Michele Maccherini, La basilica di San Bernardino all’Aquila e i suoi tesori d’arte, Carsa edizioni, Pescara 2020, p. 32.
Roberta Sulli, Il monumento funebre Pereyra-Camponeschi : contributo allo studio della cultura antiquariale a L’Aquila nel secondo quattrocento, in Bullettino della Deputazione abruzzese di storia patria, L’Aquila, 1987, pp. 207-228
Vincenzo Di Gennaro, Silvestro di Giacomo e la Scuola Aquilana, in M. Maccherini ( a cura di), L’Arte aquilana del rinascimento, L’Una, 2010, pp. 74 – 78
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