Apparati Decorativi

Cappella e Mausoleo di S. Bernardino

Autore Tommaso Amantini (su disegno di Francesco Bedeschini)
Titolo Le tre mitre vescovili rifiutate da San Bernardino e decorazioni vegetali
Data Tra VII e VIII decennio del XVII secolo
Collocazione Cappella di San Bernardino
Stato di Conservazione Buono
Tecnica e materia Stucco
Iscrizioni NOMEN IESU S BERNARDINO TROPHÆVM DS BERNARDINUS DE FAMILIA XPOPHORI MVSCAE E LVCVLO P AN MDCLXI• > In nome di Gesù Dominus (?) Bernardino della famiglia di Cristoforo Mosca da Lucoli pose il trofeo a San Bernardino nell’anno 1661.

Autore Girolamo Cenatempo (documentato dal 1705 al 1742)
Titolo Gloria del nome di Gesù, Virtù teologali e Virtù francescane
Data 1709-1711
Collocazione Cappella di San Bernardino
Stato di Conservazione Buono
Tecnica e materia Affresco
Iscrizioni – HIERONIMUS CÆNATEMPUS P. AN. MDCCIX > Girolamo Cenatempo dipinse nell’anno 1709.
– 1832 Giammaria tenne la scala Michele Sabatini pinse.
– Amleto Cencioni restauro 1969.
– Ezio Piccinini 1990.

Autore Bernardo e Baldassarre Ferradini/Ferrandini (1695-?)
Titolo Decorazioni in stucco ed in marmo
Data 1711
Collocazione Cappella di San Bernardino
Stato di Conservazione Buono
Tecnica e materia Stucco
Iscrizioni – HUIUS COENOBII FRATRES COLLAPSIS PULCHRIORA DEI PROVIDENTIA REAEDIFICAVERE ANNO DOMINI MDCCXI> I frati di questo convento riedificarono più belle le cose crollate con la provvidenza di Dio nell’anno del Signore 1711.
– BERNARDUS ET BALDASSAR FERRADINI A COMO HANC MARMOREAM STRUXERE CAPPELLAM ANNO MDCCXI > Bernardo e Baldassarre Ferradini da Como costruirono questa cappella marmorea nell’anno 1711.

Autore Bernardo e Baldassarre Ferradini e Pierantonio e Francesco Pedetti
Titolo Balaustra
Data 1717
Collocazione Cappella di San Bernardino
Stato di Conservazione Buono
Tecnica e materia Marmo rosa, giallo e verde; intarsio e scultura

Descrizione

La cappella del santo titolare della basilica si mostra attualmente nella sua predominante veste settecentesca, dunque esito delle decorazioni successive al terremoto del 1703, che causò il crollo della precedente volta con la conseguente rottura della copertura sommitale del deposito, mai ricostruita. L’attuale conservazione degli affreschi è frutto di un recente restauro, anch’esso scaturito da un evento sismico, quello del 2009, che però, quantomeno in questa cappella, non diede luogo a danni strutturali irreversibili, quanto piuttosto a profonde crepe e distacchi della superficie pittorica.

Complesso risulta definire con certezza come dovesse presentarsi la cappella anteriormente ai rifacimenti settecenteschi. Certamente in progetto doveva essere la realizzazione di dipinti murali, probabilmente raffiguranti scene della vita di San Bernardino, poiché ci perviene il testamento del luglio del 1528 di Silvestro di Messer Giovan Tancredo – figliastro ed erede di Jacopo di Notar Nanni, a sua volta committente del deposito – che tale opera commissionava a Francesco da Montereale. Nel documento vi si trovano anche specifici rimandi ad un disegno preparatorio che doveva essere già pronto. Nessuna prova però ci resta dell’esistenza tangibile di questi affreschi, dunque dubitiamo dell’esecuzione di quanto in progetto. Sicuramente la difficile situazione politica e conseguentemente economica in cui versava la città dopo il tentativo di rivolta, di un solo anno successivo al testamento, rende difficile immaginare un concreto utilizzo di quei fondi volti alla decorazione della cappella, vista la difficoltà nel pagamento dell’onerosa taglia imposta da Filiberto d’Orange. Ad aumentare la veridicità dell’ipotesi che vorrebbe la cappella priva di scene dipinte vi è la presenza di tele raffiguranti appunto episodi agiografici di San Bernardino (di cui le due frontali dei Bedeschini, raffiguranti San Bernardino risana uno storpio ed I funerali di san Bernardino), che dovevano collocarsi sulle grate del sepolcro, a copertura del corpo del santo; sarebbe poco probabile, quindi, immaginare ripetizioni di soggetti, soprattutto per quel che riguarda I funerali del santo, che certamente sarebbero stati presenti in un eventuale apparato a fresco.

Pochissimo rimane pure della decorazione in stucco di secondo Seicento, che dovette vedere all’opera Giulio Bucchi scalpellino, autore di balaustra e scalinata d’accesso alla cappella, e lo stuccatore Tommaso Amantini, entrambi operanti però sotto la direzione ed i disegni di Francesco Bedeschini e recente a tal proposito è proprio il ritrovamento del contratto (L. Pezzuto, 2014). Solamente lo stucco con le tre mitre, simbolo dei tre rifiuti della carica vescovile da parte di Bernardino, rimane oggi ad offrire un’idea delle perdute decorazioni.

Sembrerebbe, dunque, che solo nel Settecento la cappella ebbe la sua promessa decorazione pittorica, per la quale fu chiamato il pittore napoletano Girolamo Cenatempo o Cenatiempo, che si mostra in questa fase profondamente giordanesco, e che non avrebbe lavorato nella basilica solamente in quest’occasione.

A chiarimento della datazione ci resta tanto la firma sulla volta – in corrispondenza di una pietra in basso, lievemente sulla sinistra – quanto il contratto, che testimonia la commissione da parte della città stessa, entrambi datati al 1709, da considerarsi dunque data di allogagione ed inizio della decorazione. L’affresco principale, raffigurante nel catino una Gloria del nome di Gesù, fu preceduto anche da un bozzetto ad olio, attualmente al MUNDA, ma inizialmente in possesso di Pietro Paolo d’Arischia, Guardiano del convento. L’affresco era già stato sottoposto a precedenti restauri; solo nel corso del più recente è venuta alla luce un’iscrizione che testimonia un intervento nel 1832 ad opera di Michele Sabatini, con tanto di notazione di chi gli “tenne la scala”, un tale Giammaria. Nel 1969 restaurò invece Amleto Cencioni, pittore locale fautore in questo caso di un intervento piuttosto invasivo, infine Ezio Piccinini, di cui pure ci resta una scritta, nel 1990.  Nel corso dell’ultimo restauro si è deciso di rimuovere le ridipinture di Cencioni, poiché si sovrapponevano alla pittura originale anche laddove non vi erano lacune; si è lasciato, perciò, solamente il suo autoritratto, comprendente la firma nello scollo della veste.

Nel catino absidale, il titolare della basilica è raffigurato stante su di un podio naturale, affiancato sulla destra da un non ancora canonizzato Giacomo della Marca, dunque privo di aureola. Compare anche, sulla sinistra, un miracolo di liberazione di un’ossessa e l’impresa di San Giovanni da Capestrano – appunto già santo a differenza del confratello – a Roma, per difendere Bernardino dall’accusa di idolatria ed eresia, che gli deriva proprio dall’ostentazione ripetuta della tavoletta con il trigramma. Procedendo verso l’ingresso alla cappella, sempre sulla volta, si ammira il punto probabilmente più interessante (da un punto di vista qualitativo e prettamente pittorico) dell’affresco, ossia la parte in cui l’esaltazione è relativa al nome di Cristo, sempre nella forma del trigramma bernardiniano. È qui, tra il Padre Eterno e gli angeli, che si svolge il trionfo di una gamma cromatica dai leggerissimi ma preziosi toni pastello, dove predominano lievi pennellate che si direbbero acquerellate, sempre molto rapide poiché non pensate per una visione ravvicinata, bensì per la distanza.

Nei lunettoni che vengono a formarsi sotto la volta si possono osservare le Virtù teologali (Fede, Speranza e Carità), esattamente al di sopra dell’ingresso alla cappella, mentre ad affiancare le finestre laterali sono Virtù legate alla specificità francescana ed in particolar modo a Bernardino; tra queste, si trovano sulla lunetta destra l’Obbedienza, raffigurata con una croce in mano ed un giogo sulle spalle, e la Sapienza divina, con il libro aperto, il Sole sul petto ed un lume acceso. Sulla sinistra, la Povertà con la veste lacera, il denaro riverso a terra e le ali al polso, e la Castità, velata, con il giglio e la tartaruga. Se l’esecuzione delle Virtù è di fattura abbastanza modesta, alla vista è facile però intravedervi rimandi ad analoghi soggetti giordaneschi, nonostante appunto il divario qualitativo.

Dalla cappella è inoltre possibile osservare, per il tramite dell’apertura che si trova sull’arco d’ingresso il grande trigramma bernardiniano sul soffitto di Ferdinando Mosca, così come viceversa dalla nave centrale si vede, per mezzo della stessa finestra interna, il Padre Eterno sulla volta della cappella.

Il programma di rifacimento settecentesco che interessò la cappella ed in cui si collocano gli affreschi del Cenatempo vide anche la contemporanea realizzazione di stucchi ed apparati marmorei nella stessa. Tali apparati furono affidati a Bernardo e Baldassarre Ferradini da Como, scultori e stuccatori appartenenti ad una famiglia di artisti che appunto dalla Lombardia si stabilì in Abruzzo, portandovi la loro fertile tradizione locale di lavorazione di stucchi e pietre dure, e lasciandovi un buon numero di opere. Tecnicamente molto abili, i Ferradini sono autori di un repertorio barocco misurato e pulito, privo di eccessi e decorazioni sovraccariche. Anche del loro lavoro restano iscrizioni a testimonianza. Di forte impatto risulta l’arcone in stucco che taglia in due la volta della cappella e di conseguenza gli affreschi del Cenatempo, probabilmente inserito anche per ovviare ad eventuali problemi strutturali, essendo – come si è già osservato – crollata la precedente copertura; l’arco si presenta addolcito da rosette tra loro tutte dissimili. A loro si deve nel 1717 anche il completamento della balaustra d’accesso alla cappella, la prima parte della quale era stata realizzata dai fratelli Pierantonio e Francesco Pedetti, prima convocati, anch’essi di provenienza lombarda.

Sui due pilastri d’accesso si trovano inoltre due epigrafi, realizzate su finti drappi entro una specchiatura marmorea nera: si tratta di un’indulgenza concessa da Gregorio XIII e datata 1557, in latino sulla destra, con la corrispettiva traduzione in italiano sulla sinistra. Il gusto sembra rispecchiare quello romano di secondo Cinquecento, nonostante ciò, potrebbe facilmente trattarsi di decorazioni ancora una volta settecentesche.

Bibliografia di riferimento

Angelo Leosini Monumenti storici artistici della città di Aquila e i suoi contorni colle notizie de’ pittori architetti ed altri artefici che vi fiorirono, Francesco Perchiazzi Editore, Aquila 1848, pp. 204-206.

Angelo Signorini, L’archeologo nell’Abruzzo ulteriore secondo ovvero Prospetto storico intorno i monumenti antichi e moderni, le vicende civili e religiose, le scienze le lettere e le arti belle della provincia e città di Aquila, Tipografia Grossi, Aquila 1848, p. 224.

Teodoro Bonanni, La guida storica della città dell’Aquila e dei suoi contorni, Stabilimento tipografico Grossi, Aquila 1874, p. 51.

Matilde Oddo Bonafede, Guida della città dell’Aquila, Tipografia Aternina, L’Aquila 1888, pp. 135-136.

Nunzio Federico Faraglia, La chiesa primitiva e il monastero di S Bernardino nell’Aquila, Ditta Tipografica Editrice Vecchi, Trani 1912, pp. 67-78.

Lorenzo Di Virgilio, La Basilica di S. Bernardino a L’Aquila. Storia ed arte, Arte della Stampa, L’Aquila 1950, p. 116 e Appendice.

Umberto Chierici, La Basilica di San Bernardino a L’Aquila, Stampa Spiga, Genova 1969, p. 43.

La Basilica di San Bernardino, Soprintendenza ai B.A.A.A.S. per l’Abruzzo, L’Aquila 1987, p. 53.

Luca Pezzuto, Francesco di Paolo da Montereale in L’arte aquilana del Rinascimento a cura di Michele Maccherini, L’Una, L’Aquila 2010, pp. 161-184.

Luca Pezzuto, Novità su alcuni petits mâitres del Seicento tra L’Aquila, Roma e Ascoli Piceno: Francesco Bedeschini, Cesare Fantetti, Ludovico Trasi in Horti Hesperidum, Roma 2014, fascicolo I, pp. 147-205, pp. 161-164.

Il restauro della Cappella di San Bernardino all’Aquila, a cura di Maurizio d’Antonio e Michele Maccherini, CARSA, Pescara 2018, pp. 61-81 e Appendice da p. 82.

Maurizio D’Antonio e Michele Maccherini, La basilica di San Bernardino all’Aquila e i suoi tesori d’arte, CARSA, Pescara 2020, pp. 42-48.

Video