Cappella dell’Ecce Homo

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Cappella di Gesù Nazareno

Autore: Giulio Cesare Bedeschini (1583 ca.-1625 ca.)

Titolo: Ecce Homo / Cristo deriso

Data: Secondo quarto del XVII secolo

Collocazione: Cappella dell’Ecce Homo / Cappella di Gesù Nazareno

Stato di conservazione: Buono

Tecnica e materia: olio su tela

Descrizione

La tela, che si presenta in condizioni di conservazione tutto sommato buone (nonostante la superficie lievemente crettata) si trova sull’altare della cappella della Confraternita del Ss. Nome di Gesù, la terza a sinistra dall’ingresso della basilica. La cappella – cui si accede per il tramite di una balaustra novecentesca – fu sottoposta ad una totale risistemazione nel 1725 a seguito dei danni subiti nel terremoto del 1703, come testimoniato da una lapide in stucco su una delle pareti della cappella, usufruendo di una somma di denaro lasciata, nel 1617, alla confraternita dalla nobildonna Minerva Alfieri.

La volta presenta decorazioni in stucco di gusto semplice e classicheggiante e pure la mostra d’altare risulta in stucco, sebbene dipinta ad imitazione del marmo, volendo apparentemente riecheggiare gli altari marmorei ospitati nelle cappelle attigue.

La tela, raffigurante un Ecce Homo o Cristo deriso, viene attribuita generalmente dalla maggior parte delle fonti non contemporanee a Giovanni Battista Bedeschini, figura ancora poco nota, di cui risulta accertabile una sola tela a Tocco da Casauria (La visione di San Giacinto, Tocco da Casauria, Santa Maria delle Grazie); tuttavia, oggi l’attribuzione sembra univocamente essersi spostata sul fratello minore dei Bedeschini, il ben più noto Giulio Cesare, pittore centrale nel primo Seicento aquilano.

In primo piano siede il Cristo, nudo solo nella metà superiore del corpo, avvolto nella metà inferiore in un sovrabbondante panneggio bianco, segnato da profonde pieghe. La luce che scandisce il costato trae fuori la figura da uno sfondo scuro, venendo a creare un suggestivo gioco di contrasti. A terra giace lo scettro di canna ed in secondo piano, sulla destra, vediamo inquadrata da un arco la sofferenza di due apostoli.

L’opera, per via stilistica, può verosimilmente esser datata nel secondo quarto del Seicento e mostra una qualità oscillante e differenziata a seconda delle parti: pregevole è il modellato del corpo, il trattamento luce-ombra, così come il panneggio o l’espressione mesta del volto, ma fortemente semplificativa è la resa delle mani. Per l’esecuzione, quindi, potrebbe supporsi la presenza di almeno un aiuto. Il dipinto mostra forte l’influenza della pittura riformata toscana; il patetismo dell’opera si pone infatti in linea con la richiesta controriformistica di muovere il fedele a compassione e pietà, essendo il Cristo posto in primissimo piano con la sua sofferenza, in questo caso più interiore che non esplicitamente fisica.

In particolar modo a Ludovico Cardi (1559-1613), detto il Cigoli, sembra potersi connettere la formazione di Giulio Cesare Bedeschini, dunque ad un ambito ben diverso da quel fervente cesurismo che ancora dominava il linguaggio pittorico aquilano; l’incontro tra i due può forse esser avvenuto per il tramite del cognato del Bedeschini (marito della sorella Vittoria) Bernardino Monaldi, pittore fiorentino attivo a L’Aquila nell’ultimo Cinquecento. Questo soggetto è anche significativo nella produzione del Cigoli e lo stesso Giulio Cesare deve averlo replicato più volte: prima del sisma del 2009 era infatti presente un quadro analogo nella chiesa di Santa Chiara. Oltre all’influenza del Cigoli, più volte si è considerato rilevante anche il peso che il soggiorno aquilano del Mytens deve aver avuto sui pittori locali ed in particolar modo su questa bottega, che dominò la scena aquilana del XVII secolo. Nel quadro in questione, tale influenza può forse riecheggiare nel gioco di contrasti tra luci ed ombre.

Bibliografia di riferimento

Angelo Leosini Monumenti storici artistici della città di Aquila e i suoi contorni colle notizie de’ pittori architetti ed altri artefici che vi fiorirono, Francesco Perchiazzi Editore, Aquila 1848, p. 200.

Angelo Signorini, L’archeologo nell’Abruzzo ulteriore secondo, Tipografia Grossi, Aquila 1848, p. 221.

Teodoro Bonanni, La guida storica della città dell’Aquila e dei suoi contorni, Stabilimento tipografico Grossi, Aquila 1874, p. 50.

Vincenzo Bindi (1883), Dizionario degli artisti abruzzesi, REA Edizioni, L’Aquila 2010, pp. 42-44.

Matilde Oddo Bonafede, Guida della città dell’Aquila, Tipografia Aternina, L’Aquila 1888, p. 132.

Lorenzo Di Virgilio, La Basilica di S. Bernardino a L’Aquila. Storia ed arte, Arte della Stampa, L’Aquila 1950, pp. 123-124 e 133-134.

Gabriella Giuliani, I Bedeschini: bibliografia e documenti in Incontri culturali dei soci. Quaderni del Bullettino della Deputazione Abruzzese di Storia Patria, XV, 2008, pp. 125-133.

Michele Maccherini, La pittura all’Aquila alla fine del Cinquecento e la formazione di Giulio Cesare Bedeschini in Il restauro della Crocifissione di Santa Maria delle Grazie a Calascio e la pittura all’Aquila tra ‘500 e ‘600, L’Una, L’Aquila 2015, pp. 95-106.

Marco Vaccaro, Considerazioni sull’attività di Aert Mijtens in Abruzzo e sulla formazione dei fratelli Bedeschini in Ricerche sull’arte a Napoli in età moderna. Saggi e documenti, Fondazione De Vito, 2015, pp. 74-78.

Maurizio d’Antonio e Michele Maccherini, La basilica di San Bernardino dell’Aquila e i suoi tesori d’arte, CARSA, Pescara 2020, pp. 60-61.

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